Dalla parola all’azione: come funziona il cervello degli “Agenti Autonomi”
Abbiamo passato il 2023 a chattare con l'AI. Nel 2025 l'AI ha smesso di rispondere e ha iniziato a "fare". Ecco l'architettura tecnica dietro questo salto evolutivo
Per circa un decennio, l’ossessione della ricerca sull’Intelligenza Artificiale è stata una sola: la conversazione. L’obiettivo era creare macchine capaci di scrivere poesie, riassumere email o generare codice indistinguibile da quello umano. Ci siamo riusciti: i modelli di linguaggio (LLM) come GPT-4 o Claude sono diventati oracoli della parola quasi perfetti.
Ma nell’ultimo anno, qualcosa è cambiato radicalmente. La domanda non è più “Cosa sai dire?”, ma “Cosa sai fare?”.
Siamo entrati ufficialmente nell’era dell’Agentic AI (AI Agentica). Non parliamo più di chatbot che vivono chiusi in una scatola di testo, ma di software capaci di navigare il web, usare file Excel, cliccare su interfacce e portare a termine obiettivi complessi.
Ma cosa succede “sotto il cofano”? Come fa un modello probabilistico a diventare un “agente” che agisce? Analizziamo l’architettura che rende possibile tutto questo.
Il limite del “Pappagallo Stocastico”
Per capire l’innovazione, dobbiamo guardare al limite della tecnologia precedente.
Un classico LLM (Large Language Model) è, essenzialmente, un sofisticato motore di autocompletamento. Il suo unico lavoro è calcolare quale parola (o meglio, token) ha la probabilità statistica più alta di comparire dopo quella precedente.
Il problema? È un sistema isolato. Non può “cliccare” un link, non può “salvare” un file. Può solo dirti come farlo.
L’Agente Autonomo, invece, è progettato per rompere questa barriera. È un sistema orientato all’obiettivo (Goal-Oriented) che usa l’LLM come “cervello”, ma gli fornisce delle “mani” digitali (chiamate Tools) per interagire con il mondo esterno.
Come pensa un Agente: Il ciclo “ReAct”
La magia tecnica che trasforma un generatore di testo in un agente operativo si chiama spesso ReAct, un framework introdotto dai ricercatori di Google e Princeton (Yao et al., 2023).
Invece di rispondere d’impulso, l’agente segue un ciclo di ragionamento molto simile a quello umano. Immaginate di dover prenotare un volo. Non lo fate in un nanosecondo; fate dei passaggi. L’Agente fa lo stesso:
– Percezione (Input): L’utente dice “Trovami i competitor di X e salvami un report PDF”.
– Pianificazione (Thought): Qui l’Agente si ferma a “pensare” (Chain of Thought). Decompone il problema: “Ok, prima devo cercare su Google. Poi devo leggere i siti. Poi devo riassumere. Infine devo usare il tool per creare PDF”.
– Azione (Act): L’Agente sceglie lo strumento giusto. Non scrive testo per te, ma esegue una riga di codice o una chiamata API (es. google_search.execute(“competitor di X”)).
– Osservazione (Observation): L’Agente legge il risultato della ricerca. Se ha trovato i dati, passa allo step successivo. Se c’è un errore, “riflette” e riprova cambiando strategia.
LAM: I modelli che “vedono” le app
Un passo ulteriore verso il futuro sono i Large Action Models (LAM).
Mentre gli LLM sono addestrati su libri e articoli, i LAM sono addestrati su… screenshot e interfacce utente.
Hanno imparato che un rettangolo colorato con scritto “Invia” è un pulsante da premere. Hanno imparato come si compila un form di login. Questo permette all’AI di usare software che non hanno connessioni tecniche (API), comportandosi esattamente come farebbe un impiegato umano davanti al pc: guardando e cliccando.
Le sfide: perché non sono ancora perfetti?
Se la teoria è affascinante, la pratica del 2025 presenta ancora ostacoli ingegneristici enormi:
Il rischio dei “Loop Infiniti”: A volte l’Agente si incastra. Prova un’azione, fallisce, riprova la stessa azione, fallisce di nuovo. Senza un supervisore umano, può girare a vuoto all’infinito consumando risorse.
Allucinazioni Operative: Se un chatbot allucina, scrive una bugia. Se un Agente allucina, potrebbe cancellare un file vero o inviare un’email sbagliata. Il rischio di danno è molto più alto.
Memoria a breve termine: Gli agenti faticano a mantenere il contesto per compiti molto lunghi (es. un progetto che dura giorni). Qui la ricerca sta lavorando sui database vettoriali (RAG) per dare all’AI una “memoria a lungo termine”.
Conclusioni
Il passaggio dalla Generative AI (che crea contenuti) all’Agentic AI (che esegue lavoro) è il vero salto di qualità di questo decennio.
Non stiamo più costruendo software che ci intrattengono, ma collaboratori digitali che lavorano al nostro fianco. La sfida per noi umani non sarà più scrivere il “prompt perfetto”, ma imparare a delegare, supervisionare e correggere queste nuove macchine operative.
Fonti e Riferimenti Essenziali:
Yao, S., et al. (2023) – “ReAct: Synergizing Reasoning and Acting in Language Models”.
Wei, J., et al. (2022) – “Chain-of-Thought Prompting”
Schick, T., et al. (2023) – “Toolformer”