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Adaptronics: i robot italiani che hanno “tatto” (e incassano 3 milioni)

Dimenticate le pinze meccaniche goffe: la startup emiliana rivoluziona la robotica con una tecnologia che sembra fantascienza e convince i grandi investitori.

Avete presente i robot dei film anni ’80? Quelli rigidi, metallici, che se provano ad afferrare un uovo lo frantumano in mille pezzi? Ecco, dimenticateli.
Il futuro della robotica è soft, sensibile e parla italiano.
La notizia che sta facendo il giro dell’ecosistema tech è il nuovo colpaccio di Adaptronics, startup Deep Tech nata come spin-off dell’Università di Bologna, che ha appena chiuso un round di investimento da oltre 3 milioni di euro. Una cifra che serve a trasformare una tecnologia da laboratorio in uno standard globale per la logistica e… per lo Spazio!

Il segreto? È l’Elettroadesione (sembra magia, ma è fisica)

Ma perché tutti questi soldi per delle “mani” robotiche?
Il problema dell’automazione oggi è che i robot sono bravissimi a spostare scatole tutte uguali, ma vanno in crisi se devono prendere oggetti di forma irregolare, morbidi o fragili (pensate alla frutta, o a sacchetti di vestiti).
La soluzione di Adaptronics è geniale: hanno brevettato una tecnologia a film sottile che sfrutta la forza elettrostatica (l’elettroadesione).
In parole povere? Immaginate una “pelle” artificiale che diventa appiccicosa a comando, come l’effetto di un palloncino strofinato su un maglione, ma super-potenziato e controllabile.
Niente più pinze pesanti.
Niente più aria compressa.
Solo una membrana leggera che afferra qualsiasi cosa, dalla plastica al metallo, senza romperla.

Un round “pesante” per volare leggeri

L’aumento di capitale da 3,15 milioni non è arrivato per caso. A guidare la cordata c’è Eureka! Venture SGR, affiancata da giganti come CDP Venture Capital e dalla torinese LIFTT.
Cosa significa? Che l’Italia “sistema” si è mossa compatta. Quando fondi specializzati in trasferimento tecnologico e venture capital istituzionale si uniscono, vuol dire che la tecnologia è matura per esplodere sul mercato.
Con questi fondi, il CEO Lorenzo Agostini e il suo team hanno un piano chiaro: potenziare la produzione e aggredire il mercato della logistica (che ha disperato bisogno di automazione flessibile).

Dalla logistica alla “Spazzatura Spaziale”

Ma la parte più affascinante (quella che ci fa brillare gli occhi) è l’applicazione extra-terrestre.
Adaptronics non guarda solo ai magazzini di Amazon. La loro tecnologia è perfetta per la Space Economy. Nello spazio, afferrare oggetti è un incubo: non c’è gravità, gli oggetti ruotano, le ventose non funzionano (manca l’aria!).
La presa elettrostatica di Adaptronics potrebbe essere la chiave per i futuri “spazzini spaziali“:…satelliti robotici capaci di agganciare i detriti in orbita, portando finalmente i principi dell’economia circolare anche fuori dall’atmosfera terrestre.

Perché è una storia da seguire

Adaptronics è l’esempio lampante di come il Deep Tech italiano sia vivo e vegeto. Non parliamo della solita app, ma di hardware duro e puro, basato su anni di ricerca fisica e ingegneristica.
Mentre tutti discutono di software e intelligenza artificiale, c’è chi lavora per dare ai robot un “corpo” all’altezza del loro cervello. E a quanto pare, vale milioni.

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