Family

Pleistocene Park, in Siberia il parco contro il cambiamento climatico

Ricostruire l’ecosistema della steppa di un milione di anni fa. E’ nato con questo scopo, venticinque anni or sono, il Pleistocene Park: una riserva naturale nella regione della Macha-Jacuzia, all’estremità nord orientale della Siberia e del mondo.

Il Pleistocene è quell’era geologica che va dai 2.58 milioni agli 11.700 anni fa, e che coincide con l’ultimo arretramento dei ghiacciai continentali.

Il parco nacque per volontà del geofisico russo Sergey Zimov, all’epoca dell’apertura, direttore del NESS, la NorthEast Science Station, un centro ricerche con sede nella vicina Cherskiy sulle coste dell’Oceano Artico.

Obiettivo primario del NESS era la progressiva sostituzione delle distese di foreste e zone paludose con i pascoli, che erano presenti in origine ai tempi del Pleistocene e che ben si adattano alla fauna che è stata sperimentalmente reintrodotta negli ultimi anni allo stato brado – dalle renne ai cavalli della Jucuzia, dalle alci ai bisonti fino ai buoi muschiati e agli yak che vivevano qui decine di migliaia di anni fa.
Ora da quello stesso parco arriverebbe un modo alternativo ed efficace per combattere il cambiamento climatico… con l’aiuto dei mammut!

Da quasi dieci anniun team di scienziati russi e sudcoreani , infatti, in possesso del DNA del mammut lanoso – con lo scioglimento del permafrost, capita che si ritrovino animali del Pleistocene perfettamente conservati – lavora sulle tecniche di clonazione, sperando di ricrearne a breve una nuova generazione; ad ospitarli sarebbe proprio il Pleistocene Park.

I ricercatori del NESS hanno scoperto che ricreare l’habitat originale aiuterebbe molto nella lotta al degrado del permafrost, quel tipo di terreno perennemente ghiacciato che si trova nel nord del mondo (in circa il 25% dell’emisfero settentrionale. In estate gli strati superiori del permafrost si sciolgono per righiacciarsi poi in inverno; tuttavia, se lo scioglimento cominciasse ad avvenire anche negli strati inferiori (il terreno ghiacciato scende fino a 1500 metri sotto la superficie terrestre), verrebbero rilasciate nell’atmosfera milioni di tonnellate di gas metano che sono rimaste intrise nel terreno fin dall’ultima glaciazione e che contribuirebbero a peggiorare il delicatissimo equilibrio naturale. Le superfici chiare dell’erba dei pascoli rifletterebbero la luce, anziché assorbirla come fanno i larici scuri oggi, mantenendo la superficie del terreno più fresca.

Tra l’altro quello del metano non è l’unico problema a cui si andrebbe incontro a causa del degrado del permafrost: il suo scioglimento, infatti, porterebbe nell’Oceano Artico un volume di acque fredde di fusione tale da abbassare la salinità dei mari della regione; una questione non di poco conto dal momento che modifiche alla temperatura e alla salinità delle correnti potrebbe rischiare di comprometterne il flusso, con conseguenze – potenzialmente catastrofiche – difficili da prevedere.

Continua
Potrebbe interessarti anche...
Close
Back to top button
Non sei ancora iscritto alla newsletter di Starthink Magazine?
Iscriviti per ricevere le ultime novità!
Non sei ancora iscritto alla newsletter di Starthink Magazine?
Iscriviti per ricevere le ultime novità!