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La casa del futuro? High-tech, più sicura e accogliente

Abitazioni ripensate insieme da architetti e medici, dotate di termometro, saturimetro, attacco per l’erogatore di ossigeno e di tutto il necessario per comunicare a distanza: telecamera, smartphone o computer in grado di collegarsi con una struttura sanitaria territoriale.

Dalle firme dell’architettura, in prima linea i coniugi Fuksas con lo studio fiorentino Archea, arriva al capo dello Stato Sergio Mattarella l’appello a ragionare oltre l’emergenza, sul futuro di una società costretta a convivere col rischio di nuove pandemie.

Quattro i punti di riflessione scaturiti da un mese di lavoro con le eccellenze della medicina ed esperti di informatica; punti che, come spiegano all’Agenzia Ansa Fuksas e l’architetto Laura Andreini, “vogliono essere la base per la messa a punto di una serie di indispensabili linee guida da affidare alla politica”.

“Salute, economia e habitat sono parti integranti della nostra vita quotidiana” ragiona Fuksas, immaginando le case e gli ospedali del domani sempre più connessi le une con gli altri, e ripensando le abitazioni in funzione di una vita molto più integrata dalla tecnologia.

“In questi decenni abbiamo spogliato le nostre case dei servizi, le abbiamo ridotte all’osso, vissute come alberghi proiettando fuori tutte le nostre attività – dice l’architetto Andreini – Ora questo andrà ripensato. Le nostre case dovranno essere più sicure, ma anche più accoglienti”.

La casa di domani dovrà essere un rifugio piacevole e connesso, ma anche un posto salubre e adatto ad ospitarci se ci ammaliamo o se veniamo attaccati da un virus come il Covid senza dover oberare subito gli ospedali. “Il primo punto è proprio questo”, spiega allora Fuksas introducendo il ruolo dei luminari medici già entrati in squadra, dal chirurgo Ottavio Alfieri, per 20 anni direttore della cardiochirurgia dell’ospedale universitario San Raffaele di Milano, a Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute (DRI) and Cell Trasplant Center dell’Università di Miami, e Michele Gallucci, direttore della Clinica Urologica dell’Università La Sapienza di Roma.

Il primo passo, spiegano all’Ansa gli architetti, è dotare tutte le abitazioni di un kit con le poche cose indispensabili per il pronto soccorso, dal “termometro al saturimetro, a un attacco per erogatore di ossigeno, una telecamera, uno smartphone o un computer di collegarsi con una struttura sanitaria territoriale”.

Il secondo vede il ripristino di una sanità “diffusa sul territorio sul modello tedesco”, una rete per la salute, insomma, che davvero funzioni.

Anche le case però dovranno cambiare, diventare “spazi più flessibili”, dice all’Agenzia Andreini, “con spazi comuni nei palazzi, dove possibile anche un intero piano da poter attrezzare per lo smart working e lo smart learning e se necessario riconvertire per l’isolamento e l’assistenza dei malati”. E poi presidi diffusi per le sanificazione dei luoghi, “la possibilità per tutti di sanificare il proprio bagno anche con una semplice lampada a raggi Uv. “Importantissimo” anche un ripensamento del trattamento dell’aria condizionata. Visto che “molti dei problemi legati alla diffusione delle epidemie sono causati anche dal dissennato utilizzo del trattamento dell’aria”. La necessità, dunque, di rivedere il sistema di circolazione dell’aria interna agli ambienti, perché luoghi pubblici e supermercati, ma anche treni e metropolitane non siano un pericolo.

Certo dispiace, sottolinea Andreini all’Ansa, “che non ci sia un architetto nella task force di governo per la fase 2”. Ma rimediare si può, così come “partire dalle piccole cose”, dagli interventi più semplici. L’importante, sottolineano gli architetti, è agire e mettersi al lavoro subito. “Il nostro, è vero, è un Paese che su tante cose è ancora indietro – concludono – ma questa deve essere una ripartenza, come fu per la ricostruzione del dopoguerra. Uniamo forze e competenze per dare agli italiani la speranza del futuro”.

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