Introdurre un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, disegnatore come Tim Burton, conosciuto al mondo come figura di spicco di un particolarissimo cinema dalle ambientazioni gotiche, fiabesche, incentrato molto spesso su temi quali l’emarginazione e la solitudine e caratterizzato da una forte bizzarria ed estrosità creativa marchio indelebile della sua complessa, geniale, originale e fantasiosa mente stravagante e fuori dagli schemi, è superfluo. I suoi capolavori cinematografici, i suoi sequel e i suoi live action, sono famosi in tutto il mondo per essere altamente scenografici, superbamente particolari e intrisi del genio artistico che lo consacra da sempre “l’artista a trecentosessanta gradi”.
Con tali presupposti il poliedrico Burton si è presentato alle platee italiane il 15 dicembre 2016 con un film che non si può catalogare in un solo genere. Avventura, fantasy, horror e molte altre categorie sono riposte in “ Miss Peregrine” tratto dall’omonimo romanzo di Ransom Riggs non semplice, aggiungerei, da portare sugli schermi.
La trama
Jacob ha sedici anni, una madre distratta e un padre pragmatico. Timido e impacciato è cresciuto col nonno, Abraham Portman, sfuggito alle persecuzioni naziste e riparato in un orfanotrofio diretto da Miss Peregrine. Di quell’infanzia, spesa in un’isola a largo del Galles, Abraham racconta meraviglie incantando Jacob e cogliendone la natura peculiare. Perché Jacob, proprio come suo nonno, è un ragazzino speciale che scoprirà la sua vocazione in circostanze drammatiche.
Alla morte del nonno, ucciso dal suo peggiore incubo, Jacob decide di lasciare la Florida per il Galles, alla ricerca di qualcosa che possa spiegare le sue ultime volontà. Spiaggiato sull’isola, scopre molto presto che Miss Peregrine non era un’invenzione di una mente senile ma una giovane donna che accudisce ragazzi con doni speciali. Doni che mostri avidi e voraci vorrebbero possedere. Ma il mistero si infittisce quando Jake conoscerà gli abitanti della casa, i loro poteri speciali e i loro potenti nemici. Alla fine scoprirà che solo la sua “peculiarità” potrà salvare i suoi nuovi amici: “ragazzi speciali”, ovviamente, dotati di poteri paranormali come la pirocinesi, la capacità di far crescere le piante, l’essere più leggeri dell’aria, far rivivere i morti, avere sogni profetici, poter diventare invisibili, che vivono in un loop temporale all’interno del quale restano sempre giovani. La stessa Miss Peregrine è particolare: lei è una Ymbrine, ovvero ha la capacità di trasformarsi in uccello, nel suo caso un falco e di aprire e chiudere il loop. Ma la serena esistenza dei ragazzi e degli anelli è minacciata da mostruose creature, gli Hollowgast, o Vacui, che si nutrono del loro potere (e graficamente dei loro occhi).
La squadra
Un cast eccezionale (Eva Green, Asa Butterfield, Samuel L. Jackson, Ella Purnell, Chris O’Dowd, Allison Janney, Terence Stamp, Judi Dench), scenografie e trucchi giocano un ruolo fondamentale per introdurre lo spettatore nel suo mondo immaginario, colpi di scena ed effetti speciali rendono il film spettacolare ma, a dire il vero, non esaltante.
Il visionario Burton si pone dalla parte dei suoi mostri, perché si reputa uno di loro, è facile per lui descrivere e far nascere dalla sua mente un personaggio “strano”, in quanto lui stesso si è sempre considerato borderline, conosce ciò che provano e per questo riesce facilmente ad approfondire le loro psicologie e a presentarci così realisticamente i loro sentimenti: mostra al pubblico la loro bellezza nascosta e li contrappone ai cosiddetti “normali” che si rivelano essere i veri mostri.
Burton vince ma non convince
Nel complesso il kolossal della 20th Century Fox, costato 110 milioni di dollari, diretto dal grande Tim Burton stupisce ma non entusiasma. Abituati ai suoi classici quali: “Edward mani di forbice”, “Beetlejuice spiritello porcello”, “Nightmare before Chrismas”, “La sposa cadavere”, “La fabbrica di cioccolato”, si rimane delusi nella ricerca di quella creatività, di quel genio, di quella stravaganza. Già dal 2012 con “Dark Shadows”, nel 2010 con “Alice in Wonderland” ed oggi con “Miss Peregrine” si accentua una certa dualità tra momenti d’estro tipici del regista e accostamenti o ricordi ispirati a saghe super eroiche. Ci troviamo in alcune scene del film a cavallo tra “X Man” ed “Harry Potter”; gli attori sembrano stretti in una parte che non si addice al loro personaggio: Eva Green (Miss Peregrine) sembra far rivivere il carattere e le movenze di una Mary Poppins d’altri tempi con i suoi consigli, le sue premure e gli sguardi verso i ragazzi della scuola; Samuel L. Jackson (il cattivo Barron) sembra sacrificato ad impersonare una parte che non ha reso sua e un personaggio che non lo rappresenta. Rupert Everett, reso quasi irriconoscibile, ha una parte molto piccola nella storia. Non ritroviamo in quest’ultima pellicola la presenza di Johnny Deep, amico e attore di molti suoi film.
Lo spettatore è costretto a dividere in due sequenze la pellicola: la parte burtoniana e la parte tipicamente banale di Hollywood.
Ciò detto…
Ammiriamo in Burton il coraggio di essersi appropriato di una storia non sua e averla riadattata nel tipico stile poetico dei suoi geniali losers. I cambiamenti più consistenti avvengono nel finale, dettati forse dalla voglia di una conclusione spettacolare ed esaltante, ma nel complesso il film è bello, i ragazzi sono ben caratterizzati fisicamente, ed è un film gradevole per coloro che non conoscono l’animo burtoniano, per gli adolescenti e per quanti gradiscono passare due ore al cinema vedendo un film “speciale”. Per il resto dei cinefili, abituati alle performance del regista, un film di due ore con tanto da mostrare non può concedersi il lusso di scendere in profondità, quindi non si sofferma sulla storia: se, come dice Burton, “le storie raccontate dalle foto lasciano un senso di mistero”, i personaggi sembrano comunque fotografie animate e l’empatia non è scontata, a meno che l’immaginazione dello spettatore non sia molto fervida.
Ci consola pensare che Tim Burton non ha partecipato alla sceneggiatura e che queste mancanze, che probabilmente molti nemmeno noteranno, sono più attribuibili a chi il film l’ha scritto, che a chi l’ha portato sullo schermo.
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